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LA LOCANDIERA – Una recensione

Dopo un’attenta analisi, frutto dell’esaminazione del proscenio e di considerazioni derivanti da svariati appunti e annotazioni registrate durante le rappresentazioni del 7 e 8 aprile, posso affermare che lo spettacolo è stato un successo di critica (perlomeno, la mia).

Quest’anno la commissione teatrale dell’Istituto ha saputo dare gloria a una commedia da tempo trascurata e, purtroppo, poco rappresentata. Si parla ovviamente della Locandiera di Carlo Goldoni, la cui prima assoluta risale al 1753.

Tutto in questa messa in scena contemporanea è risultato finemente realizzato, a partire dall’impatto visivo delle scenografia, la cui direzione e realizzazione ha fatto capo alla Prof.ssa Valeria Lovera (la quale ha coordinato Maria Giovanna Giovenzana, Giorgia Brambilla, Matilde Geddo e Isabella Siviero) che fa immergere immediatamente lo spettatore in quel clima settecentesco che il commediografo veneziano sapeva rappresentare con grande acume e spirito di critica.

La prova attoriale è certamente degna di lode, a partire da Mirandolina (Giulia Bestazzi, Alessandra Bescapè, Federica Apollonio), quel personaggio cardine che dà il titolo all’opera e che rappresenta una figura femminile sicura di sé, sfacciata e senza scrupoli, una vera rarità nel teatro del tempo; in tutte le sue incarnazioni emergono le caratteristiche del personaggio e le sue peculiarità.

L’altro personaggio che funge da perno all’intreccio è il Cavaliere di Ripafratta (Antonio Rabbi, Michele Dejana, Alessandro D’Angelo Gambino), i cui attori hanno saputo fornire la caratterizzazione e gli atteggiamenti giusti per ogni atto, al fine di sottolineare la sua trasformazione da convinto misogino a uomo follemente innamorato della locandiera. Straordinarie sono anche le performances del Conte d’Albafiorita (Edoardo Chittaro, Andrea Decol, Luca Millefanti) e del Marchese di Forlipopoli (Filippo Magistrelli, Gioele Crespi, Andrea Restelli), che, pur personaggi fondamentalmente comprimari, mantengono elevato il livello della messa in scena ed anzi forniscono spunti attoriali davvero interessanti—ricordo che non è facile mettere in risalto le tipicità singole dei personaggi e differenziarle quando non si è protagonisti.

Infine, le attrici e gli attori che interpretano le commedianti che si fingono nobildonne Ortensia (Sophie Tanfous, Camilla D’Agostino) e Dejanira (Matilde Villa, Angelica Mottini, Valentina Mossetti), il servo (Pietro Simone Signorotti, Louhane Lebas) ed il cameriere Fabrizio in abiti contemporanei (Pietro Pluchino, Giuseppe Pio Martinelli, Omar Francesco Tanfous), a cui è stato promesso da Mirandolina il matrimonio (come da ultima volontà del padre di lei), si integrano magnificamente nella narrazione. Si è trattata dunque di una rappresentazione fedele all’originale, una prova di immedesimazione che lo spettatore non può fare a meno di ammirare; è da notare, nello sviluppo dell’intreccio, anche una certa tendenza brechtiana nel voler scomporre la messa in scena in piccoli elementi riconducenti a riflessioni extradiegetiche le quali fanno ricordare allo spettatore la vera natura del teatro, ossia la finzione e la stipulazione del patto narrativo.

Ottimi spunti di riflessione per un appassionato, ma anche magnifici momenti di apprezzamento per lo spettatore curioso. Un plauso finale alla regia del Prof. Matteo Pozzi, che anche in questa occasione ha dimostrato di saper gestire ottimamente tutti i momenti della preparazione dello spettacolo: è infatti innegabile che la rappresentazione si meriti tanto successo anche grazie alle sue indicazioni agli attori e a tutti coloro che hanno lavorato dietro le quinte, fra cui i tecnici luci e sipario (Francesco Zucchiatti, Edoardo Pollastro, Louhane Lebas, Tommaso Vercelloni).

Proprio il ruolo del regista, al quale nella rivista Cahiers du Cinéma François Truffaut e Jean-Luc Godard attribuivano la fondamentale paternità e ultima responsabilità autoriale di un’opera (in ambito cinematografico, ma ritengo queste considerazioni applicabili anche al teatro), trova nel professore una figura esemplare con il quale io stesso ho avuto modo e piacere di collaborare.

Edoardo Anchisi